Disposto a piegarmi per avvolgere!

Disposto a piegarmi per avvolgere!

In uno dei tanti incontri con i giovani per programmare l’estate, avevamo deciso che non “ci bastava” più il solito campo scuola fatto di relatori, schemi, gruppi di studio, progetti per l’anno che sarebbe partito di lì a poche settimane, ma volevamo qualcosa di diverso, di più “pratico”, che ci facesse mettere in gioco anche dal punto di vista “fisico”. Dopo tante parole, incontri, dopo tanto discernimento decidemmo che avremmo fatto richiesta alla Caritas di Roma di poterci indicare un luogo dove andare a fine agosto e metterci a servizio. Niente pensato da noi a tavolino ma tutto accolto perché preparato da altri. Questo fu il primo passo che un gruppetto di 10 giovani fece all’interno di un ostello per l’ospitalità dei poveri. Fu un primo passo importante perché nessuno era abituato a stare così tanto dentro la vita povera di qualcuno.  

Il secondo passo fu l’accoglienza di queste persone al ritorno dal loro giro in città alla ricerca di un piccolo lavoretto, di qualche soldino per comprare le sigarette e ad attenderli non c’erano solo gli operatori che con fare esperto si intrattenevano con loro, c’eravamo anche noi con tutta la paura e la delicatezza di chi sa che è davanti a delle storie importanti.

Tra questi ne vedo uno, che si atteggia in modo diverso dagli altri, sembra più spavaldo, anche più arrabbiato rispetto ai suoi “compagni di avventura o di sventura”, vestito con cura. Punto sulla simpatia ma vedo subito che non è aria. Quell’ostello non è proprio cosa per lui. Si vede che lui è lì per qualche scherzo della vita e allora con il passare dei giorni pian piano lascio la simpatia da parte e mi avvicino, mangio con lui allo stesso tavolo, parliamo un po’ di calcio (si sa bene che il calcio per un uomo è sempre un campo di battaglia, poi lui romanista e io juventino e il gioco è fatto) e cominciamo a raccontarci le nostre vite.

Da questo racconto capisco molto di più della povertà. Mi racconta che fino a qualche anno fa aveva un grande locale, era ed è parrucchiere, moltissimi clienti, gli affari andavano alla grande e di conseguenza anche la sua vita oscillava tra lavoro e ricchezza, tanto da permettersi la Porsche, le vacanze in luoghi esclusivi a Natale e in estate. Poi con il desiderio di aprire un locale più grande, cambiando zona rispetto alla sua, sbam! tutto salta. Grande investimento e nessuna entrata.

Ora è qui che parla con me davanti ad un piatto di pasta un po’ scotta, circondato da gente che non conosce e dorme in una stanza con altri dieci letti a castello. Ma quando gli ho detto: come mai sei arrivato qui? Lui mi ha dato la risposta che ancora mi porto dentro dopo molti anni: non avevo nessuno che mi tenesse mentre stavo precipitando.

Ecco, è con lui che ho capito molto della povertà e dell’isolamento, quello vero. L’isolamento di solito non te lo scegli ma ti sceglie. Ho capito in quei giorni quanto è importante per ciascuno uomo e ciascuna donna avere un legame che sappia tenerti quando stai per precipitare, quando i legami sui quali avevi puntato la tua vita spariscono e non sai dove tenerti.

Pensando, ho trovato uno scritto che avevo letto qualche tempo fa e che credo possa davvero dare il tono e anche aprire un sentiero dentro le nostre vite, molto spesso desiderose di “slegarsi”. Lo scritto è di Chiara Giaccardi:

una delle astuzie della modernità è stata quella di trasformare i legami (dal sanscrito lingami, che significa “mi piego per avvolgere”, e dunque anche “abbraccio”) prima in catene da cui liberarsi e quindi in contratti a facile recesso, in nome della flessibilità e dell’efficienza del sistema, o di un diritto all’autorealizzazione che vede il vincolo come un ostacolo anziché un’opportunità. Ma il legame non toglie libertà: al contrario, aggiunge significato, sostanza, sapore. E anche senso di realtà: “nessun uomo è un’isola”, scriveva il poeta inglese John Donne

In questo tempo strano per la nostra vita abbiamo bisogno di gente capace di piegarsi per avvolgere, per non lasciare scoperto nessuno; di uomini e donne che siano in grado di legami che abbiano la dolcezza di un abbraccio e non la costrizione di una corda. È un legame che ti salva dal precipizio. È avere un legame che ti offre un posto nel cuore e nella casa. La ricchezza è trovare un legame che poi è capace di lasciarti libero quando le cose si sono sistemate. Proprio per questo non siamo isole ma penisole, tenuti in piedi perché attaccati a qualcun altro. Mi sembra questa la sfida: legarsi a qualcuno, piegarsi per avvolgere, perché spesso ci si può salvare solo in abbraccio.

 

don Tony Drazza

Segreteria Conferenza episcopale Italiana