
20 Feb Gesù, idolo o icona del Regno?
Interrogando il mondo artistico contemporaneo, Jean Baudrillard scriveva: «L’arte è diventata iconoclasta, ma questa moderna posizione iconoclasta non consiste più nel distruggere le immagini […], consiste piuttosto nel fabbricare immagini, addirittura nel fabbricare una profusione di immagini nelle quali non c’è niente da vedere».
Nel deserto iconoclasta descritto da Baudrillard che fine ha fatto l’immagine di Cristo?
Osservando il multiforme panorama artistico dei nostri giorni è evidente come il volto del Nazareno continui a manifestarsi più o meno esplicitamente nelle opere di numerosi artisti contemporanei. In questa folla di linguaggi, stili, tecniche e mode commerciali, la vita di Gesù è spesso reinterpretata come strumento di protesta, di denuncia sociale.
Il Cristo narrato dai vangeli viene rappresentato nella Pietà contemporanea di Paul Fryer come il condannato a morte seduto su una sedia elettrica di una buia cella carceraria; o crocifisso, come i bambini fotografati da Erik Ravelo, condannati sull’altare del turismo sessuale, della pedofilia, delle guerre e del commercio delle armi; o ancora inchiodato ad una parete con i pacchi e le buste dello shopping fra le mani, come il murales dipinto da Banksy, silenziosa evocazione di quella cultura del consumo e dello scarto spesso denunciata da papa Francesco.
Immagini per lo più considerate blasfeme, prive di decoro, certamente provocatorie, ma che non tradiscono del tutto il significato profondo della croce cristiana. Rappresentazioni che hanno ancora il potere di ricordarci la passione di Gesù, quella passione vissuta oggi sulla pelle dei piccoli, degli indifesi, degli scartati. Immagini che narrano una sofferenza non ancora toccata dalla luce della Pasqua, ma non per questo meno dissacranti di tante rappresentazioni opulenti e sensuali di un mondo religioso che ha pensato di rendere culto al Crocifisso dimenticando i crocifissi.
Al centro di queste opere vi è il ritratto di un Dio fatto dono. Il Cristo oltraggiato mostra la sua vulnerabilità come segno distintivo della sua fiducia nel Padre. Solidale con tutti gli scartati della terra, chiama ciascuno di noi a farsi dono per i fratelli. Donare la propria vita per Cristo significa entrare con coraggio in quella relazione intima che lega il Padre al Figlio nello Spirito Santo. Solo allora, quando contempleremo la pienezza di una vita offerta per amore non potremo far altro che offrire le nostre povere vite.
La vita «sprecata» di Gesù è la vittoria della vita sulla morte, il trionfo della comunione sulla divisione, è quel dono che ci pone in cammino verso il Regno desiderato, un Regno abitato da fratelli, Regno di giustizia e di pace.