
27 Mar Pietre e giardini
Sono a Matera sul sagrato della chiesa di San Giovanni Battista, guardo la facciata principale e subito i miei occhi si riempiono di bellezza; una bellezza diretta, che raggiunge ogni singola pietra e mi sorprende… nella sua nudità inizia a parlarmi di Lui. La realtà di fronte a me cattura l’attenzione, suscita meraviglia ma soprattutto…mi interroga. Contemplando quelle “pietre” ritrovo qualcosa di me, rivedo momenti della mia vita, di quella di coloro che le hanno volute e di quanti come me si ritrovano, volutamente o per caso, ad imbattersi in questo luogo straordinario. Non si tratta di decifrare simboli dal sapore iniziatico né di un mero esercizio di conoscenza, ma di un incontro, di una formidabile esperienza di condivisione.
Distinguo le decorazioni che caratterizzano quella facciata; nella parte alta due leoni – difensori dello spazio sacro – e due uccelli: quello di destra è un pellicano con il lungo collo ricurvo sul petto e il piccolo aggrappato. Nel Physiologus – un testo che descrive in modo simbolico animali e piante (reali o immaginari) – si narra di come questi uccelli uccidano i propri piccoli e, pentiti, dopo tre giorni, li riportino in vita nutrendoli, grazie alla madre, con il proprio sangue. Per tale motivo i teologi medievali associano questi animali a Cristo e a Dio Padre che per amore manda il Figlio a sacrificarsi sulla Terra per poi resuscitarlo dopo tre giorni. Questa simbologia mi tocca nel profondo… io, come quel piccolo pellicano, la cui vita dipende dalla sua mamma, sono in grado di affidarmi completamente a Lui? Sono in grado di essere figlio e accettare il meglio che Lui ha pensato per me?
Poi il mio sguardo scende, si posa sul portale, è catturato dalla preziosità con cui la pietra è lavorata: foglie di acanto, palme, favi e pigne. Ma come può, da una semplice pietra, emergere così tanta bellezza? Allora, anche la mia realtà, la mia persona, così come quella pietra, lasciata alle mani del Signore, verrà toccata, plasmata, per divenire bellezza come quel portale davanti ai miei occhi? Il Signore me lo dice: «Perché tu sei prezioso ai miei occhi, perchè sei degno di stima e io ti amo» (Is 43,4), «Ecco come l’argilla è nelle mani del vasaio, così voi siete nelle mie mani, casa di Israele» (Ger 18,6).
Ma c’è di più. I rimandi alla natura, su quella facciata, è come se mi stessero invitando ad entrare in un giardino. Un giardino di pietra? Sì… ma un luogo di carne perché il luogo massimo della relazione, luogo dove cielo e terra si incontrano: il giardino della preghiera!
Il tema del giardino nell’iconografia cristiana esiste sin dalle origini; fin dall’arte paleocristiana, poi in tutta la tradizione medievale. Uno dei significati del giardino nell’Antico Testamento è quello dell’amore, ovvero il giardino diviene il luogo dove gli innamorati si incontrano, il luogo dell’intimità (come nel Cantico dei cantici) dove si può stare nudi davanti all’amato. Così, anche i Padri della Chiesa vedevano la relazione tra Dio e l’uomo: come un innamorato, in quello spazio sacro, l’uomo può essere nudo davanti a Dio; e così il giardino diventa simbolo della preghiera. Cos’è la preghiera se non un essere nudi davanti a Dio, che ti ama così come sei? La preghiera allora apre alla realtà più vera dell’uomo, quella di creatura amata. Con Dio non devo recitare, non devo dimostrare niente, nascondere niente, sono nudo e posso lasciarmi toccare dal suo amore in ogni parte del mio cuore, della mia interiorità, sapendo che sono amato nel profondo del mio essere, nella mia realtà.
Allora lasciarsi amare da Dio è la prima vocazione dell’uomo, la prima chiamata a cui devo rispondere, anzi a cui devo lasciarmi andare per coinvolgermi in quell’amore. D’altronde non ha fatto così anche Gesù? Per entrare nel giardino del mondo, non ha dovuto lasciarsi andare, spogliarsi della sua divinità e impastarsi di noi?! Non ci resta dunque che abbassare le nostre difese, oltrepassare quella soglia e passeggiare in quel giardino di pietra, certi di non essere soli.