
06 Feb Senza nulla in cambio!
Nel vocabolario leggiamo che il sostantivo dono significa dare gratuitamente: quanto viene dato per pura liberalità (mi ha fatto un dono meraviglioso), per concessione disinteressata o abnegazione (ha fatto dono della propria vita alla causa ), per grazia divina (i sette doni dello Spirito Santo). Oggi, in effetti, il dono è visto più come uno scambio: si offre qualcosa a qualcuno nell’attesa di una risposta ma in realtà donare significa dare senza aspettarsi nulla in cambio, solo per il gusto di farlo. Donare viene da dare e nel senso più pieno e profondo significa offrire in pegno qualcosa che testimonia amore e farlo in modo incondizionato, senza sentire di dovere nulla all’altro e senza nulla pretendere dall’altro. Il dono, a differenza del regalo, è un omaggio ai sentimenti, e non alla persona. Questo amore gratuito è chiamato grazia nella millenaria tradizione cristiana. Biblicamente l’ebraismo nasce con l’esodo dall’Egitto nel momento in cui Dio dona le tavole della Legge a Mosè. La Torà è composta da cinque libri (il Pentateuco) frutto del dono profetico ricevuto da Mosè che in contatto mistico con Dio li compilò. Il primo libro tratta della genesi dell’universo e dell’uomo, i quali sono un dono di Dio. In effetti, il legame tra Dio e il mondo è contraddistinto dal dono gratuito senza nessun tipo di ricompensa o ricambio. Ciò che Dio si aspetta è l’amore, soprattutto da parte dell’uomo che ha creato a sua immagine e somiglianza. La prova nel giardino dell’eden, che pone l’uomo di fronte all’albero della conoscenza del bene e del male, ci racconta dell’uomo che sceglie il dono del male rappresentato dal serpente e ciò comporta la sua caduta dall’Eden. Il dono di Dio, quindi, è un dono buono mentre può essere velenoso quello che viene da Satana e dallo scambio tra gli uomini.
Un’altra caratteristica del dono di Dio è che esso prevede la rinuncia. Può aiutarci un esempio tratto dal Libro dei Giudici, la storia di Sansone (cc. 13-16) che molti conoscono, purtroppo in modo superficiale e distorto. Sansone ha ispirato molti artisti, scrittori, pittori, compositori e autori cinematografici. La sua ragazza, Dalila, ha contribuito di sicuro a rendere eccitante la sua storia e ad alimentare l’immaginazione. La vicenda di Sansone si apre con una storia di annunciazione, alla madre appare un messaggero divino con un grande messaggio: «Ecco, per quanto tu non abbia avuto figli, data la tua sterilità, tu concepirai e darai alla luce un figlio; ma ora devi astenerti dal bere vino e altra bevanda inebriante e dal mangiare cose impure, perché il figlio che tu concepirai e darai alla luce sarà nazireo di Dio fin da quando sarà nel tuo seno; per questo il rasoio non dovrà mai accostarsi alla sua testa. Egli comincerà a salvare Israele dal potere dei Filistei» (Gdc 13,3-5). In breve: la sua nascita è miracolosa – Sansone è il dono di Dio ai suoi pii genitori -, è un nazireo, un consacrato a Dio per una missione di salvezza, ma lui personalmente è piuttosto diverso. È un giudice che dorme con le prostitute, dà libero corso ad una violenza impressionante nella sua vendetta personale contro i Filistei, e alla fine sacrifica se stesso per uccidere quanta più gente possibile. Ai nostri giorni lo definiremmo un attentatore suicida. Se leggiamo con attenzione la storia di questo tredicesimo giudice (qui davvero un numero poco felice!) Dio non è il centro della vita di Sansone. Solo due volte il testo ci dice che egli prega Dio, e le sue preghiere sono interessate (Gdc 15,18 quando ha sete e 16,28 per chiedere vendetta). Sansone ha offeso Dio, ha fatto soffrire i genitori, ha usato diverse donne per soddisfare le proprie passioni e mettere in pericolo il suo popolo, e ha ucciso migliaia di Filistei, ma senza ottenere una qualche pace durevole. Che vita sciupata, e che morte inutile! Sansone non è un eroe ma un pazzo. La sua storia è un promemoria efficace e tragico che illustra dove un “dono” sprecato può condurre. Che giudice d’Israele fallimentare! Non sorprende che sia l’ultimo dei giudici, lo sfortunato numero tredici.
Gli evangeli ci dicono che il cristiano è colui che rende grazie, che accoglie la grazia e la riconosce, ma questa gratitudine non precede né determina il dono di Dio che è gratuito, appunto, motivato solo dal suo amore per noi esseri umani. C’è una parola di Gesù in proposito: «Come il Padre ha amato me, così io ho amato voi … Come io ho amato voi, così voi dovete amarvi gli uni gli altri» (Gv 15,9.12). Nessuna reciprocità, nessuna simmetria: io dono a te non perché tu ridoni a me, ma affinché tu doni agli altri! È una dinamica senza ritorno, con un ricominciare continuo dell’amore gratuito: «Gratuitamente avete ricevuto, gratuitamente donate!» (Mt 10,8). Purtroppo anche il cristianesimo è diventato ed è sovente ancora proposto come una religione in cui si compiono azioni, si dona in cambio di un merito, di un premio, di una remunerazione, ma questa è perversione del buon annuncio, dell’evangelo. La salvezza, o è gratuita oppure non è salvezza cristiana, anzi, non è più salvezza! Per entrare nella “grazia del dono” occorre dunque non la risposta del contraccambio quando si riceve, ma il donare a propria volta. Così la gratuità non è spezzata ma potenziata, perché il donatore nel compiere il gesto del dare deve aprirsi alla fiducia, accettare l’incertezza sull’accoglienza del dono, senza pensare al proprio tornaconto. Il Dio cristiano è un Dio che per amore e nella libertà dona la sua alleanza all’uomo, il quale può solo rispondere nella libertà e nell’amore. Questa gratuità di Dio incita gli uomini a vivere la loro esistenza da fratelli, riconoscendosi reciprocamente nient’altro che esseri umani ma capaci di relazione e di amore.