
29 Nov Sognarci sognanti
Tutti, come esseri umani, abbiamo in noi delle profondità che superano la razionalità, in cui la nostra vita non scorre solo lungo il binario della logica, del ragionamento, ma percorre strade più enigmatiche e più ampie, in un luogo che chiamiamo immaginazione, sogno, fantasia. Tutti diamo senso alla nostra esistenza anche partendo da lì, come del resto è successo proprio biograficamente, se pensiamo che siamo partiti ascoltando storie, favole, miti, racconti familiari o culturali che ci hanno dato l’accesso alla vita e ci hanno aiutati a trovare in essa il nostro posto. C’è una vita che ribolle dentro di noi, con tutta la nostra sensibilità, le nostre emozioni, la nostra affettività. Noi viviamo anche così, e anche lì, in quel luogo profondo, possiamo e dobbiamo portare la luce del vangelo, anche da quelle regioni misteriose deve partire il nostro viaggio alla sequela di Cristo, proprio da quel tumulto che fa di noi delle persone vive, dai nostri sogni e dalle nostre fantasie, che proprio perché fanno parte di noi vanno evangelizzati. Sappiamo tutti, infatti, per esperienza, che in noi esiste anche un’immaginario cattivo, che ci allontana dalla realtà, ci tiene prigionieri, ci fa abitare un mondo che non esiste, avulso dalle persone e dalle situazioni concrete. Nel nostro cammino vocazionale dobbiamo portare con noi invece quell’immaginario buono che dilata gli spazi della nostra vita umana, che ci sgorga dentro quando la vita si esprime in noi in tutta la sua libertà e creatività, senza ostacoli, e ci fa intravedere le sue infinite possibilità.
L’idea di farcene qualcosa della nostra vita, la dimensione vocazionale della nostra esistenza, implica l’idea di superare in qualche modo, di trascendere le limitazioni, i confini della nostra limitatezza. Non è possibile per noi ignorare i nostri limiti, sorvolare su di essi, perché proprio essi danno una cornice a tutto ciò che facciamo o desideriamo, ci costituiscono e sono alla base di ciò che fa sì che noi siamo esseri creature e non Dio. Ma malgrado ciò, resta in noi l’idea che c’è un al di là verso cui la mia finitezza può tendere, per trovarci un’ultima nota, una chiamata verso ciò che non si identifica puramente e semplicemente con il tempo e con lo spazio, che ci fa entrare in un’altra dimensione, in un Oriente, verso un Altro che è l’ Oriens ex alto, qualcosa che è allo stesso tempo mio, è il mio Oriente, ma è più in alto, qualcosa che il mio desiderio, soltanto il mio desiderio, la mia immaginazione, il mio sogno, se li ascolto, invocano.
Insomma la dimensione del sogno ci ricorda che qualcosa ci viene proposto, ci viene offerto, ci viene dato, aspetto paradossale della nostra libertà, che è quello di accogliere qualcosa che ci viene da “altrove”, da un altro luogo, qualcosa che non viene semplicemente dai nostri sforzi o dal nostro pensiero, e al quale dobbiamo imparare a dare ascolto e a corrispondere, se vogliamo davvero essere noi stessi. Noi non siamo solo volontà e azione, siamo anche ricettività, accettazione, ospitalità. Non troviamo cioè solo in noi stessi il nostro senso. Tutta la nostra avventura di uomini sta nel fatto che siamo esseri che ricevono, in particolare che ricevono l’amore dalle mani di un altro, e l’altro è sempre un al di là. Colui che si dà al mio desiderio, alla mia immaginazione, al mio sogno.
Ha scritto il pensatore francese Michel Foucault: “Immaginare è guardarsi come movimento di una libertà che si fa mondo e alla fine si radica in esso come nel proprio destino […] immaginare è vedere se stessi nel momento del sogno, è sognarsi sognanti”.
Insomma, siamo fatti per qualcosa di più di ciò che vediamo, che calcoliamo o che costatiamo. Tutto questo non basta a radicarci nel nostro posto nella vita. Siamo fatti anche per ciò che siamo capaci di sognare.
Gianni Caliandro