
12 Gen Caro Frodo, vale per tutti coloro che vivono tempi come questi…
«Vorrei che non fosse successo nulla, vorrei che non fosse toccato a me» – disse Frodo guardando Gandalf,
il quale saggiamente rispose: «Vale per tutti coloro che vivono tempi come questi, ma non spetta a noi scegliere;
quello che spetta a noi è decidere cosa fare col tempo che ci viene concesso»
Citazione liberamente tratta da J. R. R., Il Signore degli Anelli – La Compagnia dell’Anello
Che legame ci può essere tra il tempo che stiamo vivendo, questa citazione letteraria e la Parola di Dio?
Di fronte all’esperienza drammatica e desolante della fugacità della vita, quali risposte di senso possono nascere in noi? Chi siamo chiamati ad essere con le nostre scelte? Come comportarci concretamente?
Il tempo è il luogo per eccellenza in cui possiamo tessere i nostri legami, e/o lasciarci legare da ciò che accade, dalla contingenza che ci troviamo ad abitare (il che può avere una valenza positiva o negativa, a seconda di come permettiamo a ciascun legame di essere zavorra o incoraggiamento). Il tempo è luogo del legame, già dall’inizio della Creazione, dove tutto è scandito dal tempo (i 7 giorni) che passa e che vede il Cosmo arricchirsi di elementi nuovi in profondo e reciproco collegamento con quanto li precede e segue. Fino ad arrivare al settimo giorno, in cui Dio crea il legame che ci è più caro, quello con qualcuno che “ci sia simile” e che ci dia la misura di un’esistenza vissuta insieme. Dio è connesso con la sua Creazione, è legato al mondo, alla Natura, all’uomo, perché da Lui hanno origine tutte le cose. Siamo in Dio e Dio è in noi. Questo è il primo vincolo che ci chiama a vivere il tempo terreno in una costante tensione verso la compiutezza proprio di quel Legame da cui proveniamo. Compiutezza che ci sarà nella resurrezione, che sarà prima di Cristo, come ci dice san Paolo, e poi di tutti quelli che sono in Lui… quindi, a ben vedere, di tutti gli uomini.
Ma tra quel primo legame che ci ha chiamato alla vita e la sua compiutezza nella resurrezione, come vivere il presente?
In questo covid-tempo, il nostro presente, ci siamo resi conto di quanta fragilità sia legata alla nostra esistenza terrena, di quanto bisogno abbiamo di sentirci legati agli altri
nonostante la distanza sociale, di come quello che succede da un’altra parte del mondo ci riguardi più di quanto pensavamo, in un legame capace di superare le barriere che, nel frattempo, abbiamo creato. Papa Francesco nell’ultima enciclica Fratelli Tutti si augura che «un così grande dolore non sia inutile, che facciamo un salto verso un nuovo modo di vivere e scopriamo una volta per tutte che abbiamo bisogno e siamo debitori gli uni degli altri, affinché l’umanità rinasca con tutti i volti, tutte le mani e tutte le voci, al di là delle frontiere che abbiamo creato» (Ft 35). Ed è sempre più evidente che non abbiamo altro strumento in mano se non il tempo che ci è dato, nel quale siamo chiamati a scegliere come vivere, quel tempo che «fugge, ma è prezioso, perché luogo di decisione. L’orizzonte che permette di cogliere l’urgenza del presente, è l’apertura al futuro» (Andrea Bizzozero). Ed è proprio l’apertura al futuro che allarga l’orizzonte del presente, non tanto perché non vogliamo rischiare castighi eterni o puntiamo a guadagnare premi futuri, ma perché sappiamo che un certo stile di vita, una certa postura di fronte alle istanze del quotidiano ci permette di dare il nostro personale (e insostituibile) contributo per una società più umana e solidale.
San Paolo nella Lettera ai Corinzi (capitolo 15), parlando della resurrezione di Cristo ci dice che questo è il legame tra cielo e terra a cui è ancorata la nostra apertura al futuro e la nostra speranza: se così non fosse, allora mangiamo e beviamo, tanto poi moriremo: lì dove la fede nella resurrezione non fa la differenza, il rischio è di una quotidia
nità basata sulla “consumazione”, sul prendere il più possibile, consumare presto perché l’orizzonte è chiuso. Una sorta di bulimia della vita: afferrare prima di essere afferrati dalla morte. Ed è una delle possibilità con cui possiamo affrontare anche il nostro presente, così incerto e a tratti apparentemente triste e senza speranza. Ma siamo proprio noi a poter dare la speranza a questo tempo: di fronte a chi si pone davanti alla vita in atteggiamento bulimico, potremo rispondere come rispose sant’Agostino: ben consapevole della morte che graffierà tutti, come ci siamo accorti anche noi in modo tutto particolare in questo 2020, egli risponde che bisognerebbe piuttosto dire “digiuniamo e preghiamo”. Che vita triste – starà dicendo qualcuno – come se non bastasse il covid, la solitudine, la crisi economica, ci tocca anche digiunare e passare il tempo in noiosissime preghiere… ma è qui che è la speranza! Il digiuno e la preghiera non sono fini a se stessi, e non servono nemmeno a far bella figura di fronte a Dio, ma hanno un legame con la realtà sociale, con l’elemosina e la misericordia, cioè, in fondo, con la carità nei confronti dell’altro, con l’amore, che è, e resta, il legame più forte. Se nel Cantico dei Cantici si dice che “forte come la morte è l’amore” (Ct 8,6), Gesù ci mostra con le sue scelte concrete, di cui il Vangelo è pieno, che l’amore è ancora più forte della morte, in un legame indissolubile che ci lega a Dio e agli altri ma che, in ultima analisi, è messo nelle nostre mani. La morte non ci appartiene, sebbene ci tocchi tutti; ma la possibilità di tenere attivo il legame dell’amore, legame di tutti i legami, è nelle nostre mani, riguarda la nostra responsabilità e, dunque, le nostre risposte al quotidiano presente e a quello che andiamo costruendo con le piccole e grandi scelte di vita.
Sr Carlotta Ciarrapica
Istituto Regina degli apostoli per le vocazioni
(Suore Apostoline)